Omelia Card Bagnasco 18 Marzo 2018

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 Omelia dell’Arcivescovo per la Giornata della Solidarietà ..  ..  18 marzo scorso


“‘Vogliamo vedere Gesù’. In queste poche parole, che ci vengono presentate dal Vangelo di oggi, V Domenica di Quaresima e che esprimono un desiderio del cuore, l’eco di una richiesta forte che sa quasi di diritto, certamente ci riconosciamo tutti: noi siamo qui questa sera al Monastero dei SS. Giacomo e Filippo e abbiamo la grazia di vedere Gesù, di vederlo nell’Eucaristia, che celebriamo e che adoriamo, perché l’Eucaristia è il volto di Gesù che si presenta a noi, che continuamente si offre a noi. A noi tocca solo di non essere distratti, di non rimanere in superficie, all’apparenza. Di fare memoria di ciò che è la realtà eucaristica.

Essa è la presenza reale di Gesù, il volto di Gesù di Betlemme, di Nazareth, il volto di Gesù adolescente, Gesù nella vita nascosta, nella vita quotidiana, in famiglia, nel suo villaggio; il volto di Gesù sulle vie della Palestina che annuncia ciò che tutto il mondo, consapevole o no, attendeva, attende e attenderà sempre: la salvezza, la riconciliazione, il sentirci restituiti alla nostra dignità che, al di là di ogni fede, sentiamo tradita, offesa e che sentiamo essere una chiamata estremamente più alta di ciò che ognuno di noi può fare. Nell’Eucaristia troviamo il volto di Gesù come agnello immolato, che toglie i peccati del mondo, che costruisce ponti, diventa pontefice sommo, tra la terra e il cielo.

Nell’Eucaristia troviamo il volto del Re dei re, il taumaturgo che fa vedere i ciechi, sentire i sordi, camminare gli storpi, resuscitare i morti e tutti ci ritroviamo in questa umanità indigente perché abbiamo bisogno di salvezza, guarigione e forza. Nell’Eucarestia vediamo il volto del Risorto, colui che deve tornare, l’escatologia della nostra fede che non ci porta fuori dal mondo ma guarda il futuro per vedere meglio il presente, che ci aiuta a guardarci dal male ma che, purtroppo, è così trascurata: siamo talmente immersi nel nostro limitato presente che spesso dimentichiamo di invocare il ritorno del Signore, quando Dio sarà tutto in tutti e finalmente sarà solo luce e bellezza, cieli nuovi e terre nuove. L’Eucaristia è dunque il volto di Gesù che si descrive in tutta la sua vita terrena, in tutta la sua storia, passata, presente e futura, con il suo ritorno.

Ma noi, viviamo l’attesa del ritorno del Signore? Ne invochiamo il ritorno per la fine della violenza e dell’egoismo, quando Egli riconcilierà visibilmente l’universo nel suo sangue? Abbiamo questa visione cosmica che proviene dalle Scritture Sante? Io ho qualche dubbio che la comunità cristiana guardi così avanti. Eppure la Liturgia ci fa dire: “Nell’attesa della tua venuta”, parole che ci dovrebbero allargare il cuore e la mente perché possa crescere la nostra capacità di amare.
Siamo nella Domenica in cui celebriamo la Giornata Diocesana della Solidarietà. Sono molto lieto e vi ringrazio per la vostra testimonianza e vi invito fortemente a continuare per questa strada che è l’unica che salva. Ogni solidarietà, in tutte le sue forme, non deve celebrare se stessa, credersi protagonista, non deve dimenticare che tutto è solo grazia: anche il poter amare, prima che essere merito, è grazia; servire, prima che essere merito, è grazia. In questa ottica, la violenza che vediamo manifestarsi ogni giorno non è solo una realtà che è sempre esistita: è la manifestazione di qualcosa di più, di una mancanza di amore o, più precisamente, del non sapersi amati, non sentirsi amati.

Quando non ci sentiamo voluti bene da qualcuno, diventiamo duri, risentiti, un po’ acidi, sempre sulla difesa e non di rado sulla rivalsa e diventiamo capaci di tutto. Il mondo di oggi, soprattutto quello occidentale, ha bisogno di riscoprire di essere amato. Ecco perché l’oblio del Vangelo è la premessa di ogni disumanità, di ogni ferocia, di ogni ingiustizia. Solamente sapendoci amati da Dio con una gratuità che non ha paragoni e che si esprime nel sacramento Eucaristico, il ‘Dio con noi’ – e nessuno di noi può essere ‘con’ gli altri così come Egli è ‘con’ noi -, diventiamo capaci di amare a nostra volta, di amare Dio e i fratelli.

Ogni volta che ci avviciniamo al Sacramento torniamo alla fonte dell’amore e quindi della nostra capacità di amare Dio e i fratelli, fonte che è Dio stesso. Perché l’amore si genera con l’amore, la capacità di servire si genera con quell’amore che non nasce da noi ma che viene dall’alto e si piega, si curva in Cristo per portarci al livello di Dio. Che onore! Allora i nostri programmi, le iniziative e la fantasia delle nostre opere di carità, sono cosa buona e sono una grazia ma tutto deve sempre mantenersi nell’orizzonte che Dio ci indica per poter amare e servire. Fuori da questa sorgente tutto è una steppa arida.

E se è vero come è vero che anche l’amore ha le sue fatiche, le sue insidie, i suoi alti e bassi in tutti gli ambienti, dalla famiglia a ogni forma di vita sociale, tanto più sentiamo il bisogno di quel recupero, di quella sorgente che ci aiuta a superare le fatiche e che ci dona la perseveranza. Sappiamo infatti, che oggi abbiamo paura della perseveranza, degli impegni definitivi: ma anche la costanza dipende da Lui.

E allora, cari amici, qui al Monastero dei SS. Giacomo e Filippo e nelle nostre parrocchie, cerchiamo di tornare tutti i giorni a fare una visita al Santissimo Sacramento e magari anche di partecipare alla Messa quotidiana: è così fuori dal mondo? È sintomo di esagerazione, di squilibrio? La Messa quotidiana o anche solo una breve visita giornaliera nell’oscurità di una chiesa illuminata dalla luce di Gesù, ci farà comunque un infinito bene.”


… Buona Settimana Santa, Michela